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Raccontare il bello per costruire il bello – #ConcretaMente

Dalila Sansone 

 

“Vorrei consigliare, prima di addentrarvi nella lettura, di non ostinarvi a ragionare dentro schemi preconfezionati. Non vi fossilizzate sulla separazione “noi” e “loro”. Non ci sono più pronomi e non ci sono più colori. E’ finito il tempo della razza , non ha più senso guardare il mondo in  bianco e nero. L’Italia siamo noi, tutti noi.”

Jacopo Storni, L’Italia siamo noi

 

Il primo ciclo di Militanze Esistenziali_Storie di impegno e di passione si chiude con Jacopo Storni e l’incontro dal titolo Raccontare il bello per costruire il bello. Migrazione, story telling e progetti di educazione alle differenze dal basso, questo sabato, 29 Giugno, alle ore 18:00 presso la Feltrinelli Point di Arezzo.

Giornalista fiorentino,  Storni incarna la militanza nei suoi risvolti narrativi ed educativi, partendo dal suo mestiere, quello di cronista appunto.  Un giornalista scrive di fatti, li indaga, ricostruisce, narra e proprio la narrazione è il cardine dell’interesse dell’autore, la funzione che ha nel condizionare o veicolare la percezione dei fatti stessi.

Il tema è quello dell’immigrazione,  di stringente attualità e caleidoscopico nelle implicazioni.  Scrivendone si accorge che il modo di parlarne è tendenzialmente sbilanciato in negativo: si focalizza sulle tragedie, le questioni di difficile risoluzione piuttosto che sulle stonature di un processo, estremamente complesso, nell’ambito del quale è difficile scegliere di non adottare un punto di vista preferenziale o capire quando quel punto di vista, invece,  diventa strumentale

Il tema è quello dell’immigrazione,  di stringente attualità e caleidoscopico nelle implicazioni.  Scrivendone si accorge che il modo di parlarne è tendenzialmente sbilanciato in negativo: si focalizza sulle tragedie, le questioni di difficile risoluzione piuttosto che sulle stonature di un processo, estremamente complesso, nell’ambito del quale è difficile scegliere di non adottare un punto di vista preferenziale o capire quando quel punto di vista, invece,  diventa strumentale. L’interrogativo che ne deriva è quanto effettivamente la modalità con cui si tratta un tema finisca con il condizionarne la percezione in chi legge o ascolta. La risposta è molto. Molto più di quanto si creda.

Dunque dopo aver dato alle stampe Sparategli! Nuovi schiavi d’Italia (Editori Riuniti, 2011), reportage sulla condizione dei migranti in sei macroregioni del Paese, con i due volumi successivi L’Italia siamo noi (Catelvecchi editore, 2016) e Siamo tutti terroristi (Castelvecchi editore, 2018) l’autore decide di rovesciare la prospettiva della narrazione in positivo, raccontando le vite di migranti “di successo”,  persone di provenienze e formazione molto diverse, accomunate da storie di integrazione non limitata all’inserimento sociale e lavorativo ma di effettiva realizzazione professionale e professionale (scorrono tra le pagine le vite di imprenditori, ristoratori, medici, rappresentanti delle forze dell’ordine).  Il mestiere del giornalista implica l’assunzione di responsabilità importanti che sconfinano dal campo dell’etica e riguardano prima di tutto la cittadinanza, l’appartenenza ad un consorzio sociale di cui si fa parte e di cui si conoscono le dinamiche attraverso punti di osservazione privilegiati, ed è su questa linea sottile che Storni si muove convinto che si possa “narrare il bello per costruire il bello”. Una narrazione positiva, che metta in luce gli aspetti migliori all’interno di un amalgama spesso indistinta di questioni che non ne chiarisce nessuna,  è per lui uno dei possibili  punti di partenza per la costruzione di società più inclusive, per fare leva sulla percezione dei cittadini, sgretolando il pregiudizio e mettere meglio a fuoco le cose, come si fa con l’obiettivo di una macchina fotografica. E’ il fotografo che sceglie l’inquadratura e decide la messa a fuoco. L’effetto di una scena ritratta non è necessariamente lo stesso, dipende dalla decisione sul come eseguire lo scatto.

Una narrazione positiva, che metta in luce gli aspetti migliori all’interno di un amalgama spesso indistinta di questioni che non ne chiarisce nessuna,  è per lui uno dei possibili  punti di partenza per la costruzione di società più inclusive, per fare leva sulla percezione dei cittadini, sgretolando il pregiudizio e mettere meglio a fuoco le cose, come si fa con l’obiettivo di una macchina fotografica

Attraverso le storie delle donne e degli uomini che l’autore ha incontrato nel corso di un lungo viaggio per la penisola, emergono punti nodali della questione migratoria come le ragioni che hanno spinto a lasciare il proprio Paese, le motivazioni individuali, la somma delle piccole e grandi difficoltà. La migrazione non è un fenomeno dalla soluzione complessa, con rapporti di causa effetto ben definiti ed inquadrabili in un saggio di geopolitica o un’analisi sociologica, è il fondale di storie singole, di ciascuno dei nomi in calce riportati nel titolo dei capitoli dei libri. Prima ci sono le storie, poi le dinamiche sociali; davanti camminano le persone, dietro la storia o l’insieme delle situazioni e degli avvenimenti che prima o poi la faranno.

La migrazione è risorsa e la convivenza tra  persone diverse, con storie e competenze distinte, rappresenta un potenziale di arricchimento culturale e sociale per il nostro Paese, come lo è stato già in passato per altri. E’ un processo non arrestabile del quale vanno tenute presenti le potenzialità di sviluppo, molte delle quali già in atto e consolidate.

Le lettere  sono individuali, non scaturiscono dal lavoro collettivo della classe, sono invece corrispondenza personale tra due bambini nati in situazioni  diametralmente opposte. Global Friends è un progetto di autoeducazione alla diversità dal basso, non veicolato o condizionato dagli adulti. L’amicizia di penna permette l’istaurarsi di un legame diretto che ha poco a che fare con etichette o pregiudizi ma si limita a definire la relazione tra due adulti di domani

E su questa seconda linea muove l’altro ambito d’azione, quello dell’associazionismo, attraverso  l’esperienza di  Global Friends che mette in contatto bambini del Nord e del Sud del mondo attraverso la scrittura condivisa. I volontari si occupano di raccogliere le lettere, scritte dai bambini di alcune scuole elementari di Firenze, e consegnarle ai traduttori. L’associazione affronta le spese di traduzione e recapito  nei Paesi di destinazione, dove altri volontari consegneranno gli originali con la traduzione ai destinatari.
Le lettere  sono individuali, non scaturiscono dal lavoro collettivo della classe, sono invece corrispondenza personale tra due bambini nati in situazioni  diametralmente opposte. Global Friends è un progetto di autoeducazione alla diversità dal basso, non veicolato o condizionato dagli adulti. L’amicizia di penna permette l’istaurarsi di un legame diretto che ha poco a che fare con etichette o pregiudizi ma si limita a definire la relazione tra due adulti di domani.

Global friendsNarrazione ed educazione quindi come chiavi per scardinare le forzature imposte e ossessivamente ricercate dentro un processo naturale che, prima ancora di essere etichettato come fenomeno  da osservare al microscopio o incasellare in categorie astratte, è e resta un fatto umano, di persone che interagiscono con delle altre, di essere umani che conoscono e vengono a contatto con l’altro. Si chiama integrazione appunto, e non è compito che spetta a una parte sola, coinvolge tutti, nessuno escluso.

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 Dalila Sansone
Abracadalbero

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