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SANTE SERIGNE TOUBA – Arezzo

- 26 agosto 2017

A luglio dovevamo fare una riunione, invece veniamo travolti e coinvolti dalla presentazione del primo libro di Abdou M. Diouf, È sempre estate. Si sente subito l’energia e dolcezza dell’autore, le domande e le risposte ci rapiscono e incuriosiscono. Così aspettiamo la fine e parliamo finalmente con Ab; ne nasce una sintonia, un’amicizia e un invito a cercare di percorrere insieme il futuro.

Ab ci chiede di partecipare alla festa Sante Serigne Touba di Arezzo. Segni Concreti ha tradotto questa giornata in un reportage, in un viaggio, in una finestra… buona lettura e buona visione.

 

Festa Senegalese

di Elena Scortecci

 

Il 26 agosto 2017 un team di Segni Concreti ha partecipato alla festa religiosa di Sante Serigne Touba organizzata dalla comunità senegalese muride toscana al Centro Affari e Convegni di Arezzo.
Quando abbiamo iniziato le riprese ci sentivamo un po’ intrusi in mezzo ai meravigliosi vestiti colorati venuti direttamente dal Senegal, tra odori di spezie e canti tipici. Ma è bastato mostrare il nostro interesse verso i partecipanti, che pian piano anche loro hanno capito le intenzioni di condivisione che avevamo e si sono abituati a vederci girare con fotocamere e microfoni.
Molti membri della comunità si sono aperti a spiegare con pazienza in cosa consisteva la festa e hanno parlato delle loro amate origini.
Abbiamo parlato sia con gli adulti, che organizzano questa festa ad Arezzo da quasi 30 anni, sia con le nuove generazioni, che quest’anno hanno preso in mano l’organizzazione dell’evento rendendolo ancora più speciale. La loro energia ci ha travolti e si è creato un legame culturale e di comunità che ci ha fatto sentire per un giorno in Africa, ospiti del Senegal.

 

Interviste video

Durante la festa della comunità senegalese Touba ad Arezzo abbiamo realizzato interviste con alcuni organizzatori e partecipanti, dagli adulti ai giovanissimi.
Inizialmente c’era una certa dose di timidezza nel parlare di fronte alla telecamera, ma poi a mano a mano che le persone osservavano come avveniva il processo di registrazione e gli argomenti affrontati, si sono fatte coraggio e hanno collaborato con Segni Concreti.
Dalle interviste singole è emerso un forte attaccamento dei senegalesi alle loro origini sia culturali che religiose e l’importanza di fare feste come questa per mantenere i rapporti con la comunità. La parola che forse è stata più usata è “pace”, per descrivere l’Islam.
I ragazzi e le ragazze con cui abbiamo parlato sono molto determinati, hanno già le idee chiare su cosa fare nel futuro; vogliono camminare con le loro gambe ma allo stesso tempo tengono in grande considerazione il valore della famiglia, composta dai parenti più stretti ma anche da chi abita in Senegal e dagli amici più vicini.
Per Segni Concreti questa celebrazione è stato un modo per venire in contatto con la cultura senegalese e aprire ancora una volta gli orizzonti mentali di una città come Arezzo che, pur essendo piccola, ha dentro di sé molte sorprese per chi ha voglia di scoprirle.

 


 
 

 
 

 
 

 
 

 
 

 
 

 
 

 
 

 
 

 
 

 

 

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A tutto Senegal

Di Bianca Sestini

Arriviamo sul posto quando è già tarda mattinata. Fa caldo e, dai pochi che si incontrano in prossimità dell’entrata, il Centro Fiere e Congressi sembra ancora praticamente deserto. Ma basta varcare la soglia d’ingresso per imbattersi in un brulichio silenzioso e indaffarato. Ciò che cattura immediatamente l’attenzione è l’abbigliamento dei presenti. Molti tra uomini e ragazzi indossano abiti dal taglio tradizionale, con disegni astratti e misteriosi, a mo’ di divisa. I vestiti femminili, invece, sfoggiano le linee, i tessuti e i motivi più vari; si fatica a trovare anche solo qualche somiglianza tra l’uno e l’altro. Sulla pelle scura, i colori accesi e contrastanti risaltano ancora di più.
 

Qui l’accoglienza inverte la rotta rispetto a quella a cui siamo abituati a pensare. È l’accoglienza africana, concreta e dolce come una seconda colazione inaspettata.

Senza nemmeno accorgercene, ci ritroviamo seduti con tra le mani un piatto di lakh (una polenta di miglio addolcita con latte cagliato zuccherato). Qui l’accoglienza inverte la rotta rispetto a quella a cui siamo abituati a pensare. È l’accoglienza africana, concreta e dolce come una seconda colazione inaspettata. Benvenuti al Sante Serigne Touba, un appuntamento organizzato annualmente dalla comunità senegalese aretina in onore del maestro Amadu Bamba Mbacké, fondatore della confraternita islamica dei Murid. Un’occasione in cui, almeno per un giorno su 365, 3 generazioni di Senegalesi si incontrano e si riconoscono. Un finestra sul Senegal in terra aretina.
 

Nonostante i tempi di preparazione biblici (4-5 ore in totale), <<il thiebou dien è come la pasta per gli Italiani>>

Seguiamo il suggerimento di spostarci di nuovo fuori. Oggi si cucina a cielo aperto, nello spiazzo a sinistra dell’ingresso principale. Come chiede la tradizione, infatti, tutte le pietanze della festa vengono preparate volutamente all’esterno. Donne e ragazzi di tutte le età si spostano continuamente da un angolo all’altro, concentrati, intorno a grandi fornelli a gas appoggiati a terra. Nell’aria, oltre ai suoni della lingua Wolof, si comincia a sentire il profumo del pranzo. Seguendo la scia, si arriva a dei pentoloni giganteschi e gorgoglianti. Su quello affidato a Khady si legge “Arezzo” , scritto in stampatello a caratteri cubitali. Mi è capitato di rado di veder usare pentole di queste dimensioni e la mia meraviglia si dimostra fondata. <<Tutto questo materiale viene dal Senegal>>, mi spiega Khady, <<Non si trova in Italia>>. Sotto il suo sguardo vigile cernia, dentice, melanzane, peperoni, carote, cavolfiori e manioca cuociono insieme nell’acqua bollente. Sono tutti gli ingredienti necessari (insieme al riso) per il thiebou dien. Il piatto delle festività? Non proprio: a casa di Khady, che abita ad Arezzo da circa 25 anni, la specialità nazionale si cucina quasi tutti i giorni, soprattutto di sabato e domenica. Nonostante i tempi di preparazione biblici (4-5 ore in totale), <<il thiebou dien è come la pasta per gli Italiani>>. Diversamente dal costume italico, però, Khady ci spiega che in Senegal la gestione della cucina non è prerogativa esclusiva delle donne più anziane della famiglia. Chiunque abbia voglia di dare una mano può farlo, <<ben venga! Meglio una mano in più che una in meno!>>. Quando Khady sorride, tutto il rosa che indossa (dal foulard all’abito, fino all’ombretto) brilla di più.
 

Guardandomi intorno, noto con stupore che anche i maschi si danno da fare: chi taglia le cipolle, chi fa il caffè…<<Eventi così sono anche un’occasione d’incontro>>

Poco più in là, un gruppetto chiassoso di ragazzi intorno ad un altro fornello ammutolisce appena mi avvicino. Siamo quasi coetanei, l’imbarazzo iniziale si supera in uno scambio di frasi. Stanno cucinando i beignets: <<tipo bignè ma senza ripieno, fatti con farina, uova, zucchero, lievito e latte, fritti nell’olio>>. Guardandomi intorno, noto con stupore che anche i maschi si danno da fare: chi taglia le cipolle, chi fa il caffè…<<Eventi così sono anche un’occasione d’incontro>>, commenta Mareme. Ha gli occhi allungati e luminosi, sui suoi capelli troneggia un vistosissimo fiocco; ogni tanto si interrompe e alterna aretino e Wolof, a seconda dell’interlocutore, senza soluzione di continuità. <<C’è chi è nato qui, chi è nato in Senegal ma ha frequentato tutte le scuole in Italia… La maggior parte di noi si conosce, ci si frequenta anche al di fuori di queste occasioni. Soprattutto quando sei giovane hai voglia di stare con gente che è simile a te, no?>>. Non concorda a pieno con le parole di Khady sulla gestione della cucina, ma nemmeno le smentisce del tutto. <<Soprattutto quest’anno, gli adulti stanno cercando di coinvolgerci sempre di più>>.
 

Mi addentro di nuovo nel campo minato dei pentoloni, dove cerco e trovo Zeina, la mamma di Mareme. Lei e le donne che la circondano formano una mosaico di gonne, gioielli, acconciature, foulard che ipnotizza.

Seguendo il percorso dei preparativi culinari, comincio pian piano ad ambientarmi. Mi addentro di nuovo nel campo minato dei pentoloni, dove cerco e trovo Zeina, la mamma di Mareme. Lei e le donne che la circondano formano una mosaico di gonne, gioielli, acconciature, foulard che ipnotizza. In questa zona della cucina si preparano sia un sugo di carote, cipolle e pomodoro con cui insaporire il riso rosso e bianco per il pranzo, sia il pollo, da servire con insalata e patatine, per la cena. C’è cibo per un reggimento, insomma. Molti degli ospiti devono ancora arrivare, da tutta la Toscana e anche dal resto del Centro Italia. Zeina vive ad Arezzo da 15 anni; di Diourbel, la sua città natale, dice che le manca tutto, ma soprattutto sua mamma. <<È grande come Arezzo. Bellissima, niente da dire>>. Zeina mi porta ad esplorare le radici di questa giornata. Ci spiega che la festa è aperta a tutti; sunniti, sciiti, musulmani e non, persone di qualsiasi nazionalità. Nel suo Paese d’origine, i contrasti tre credenti di fedi diverse semplicemente non esistono. Tanto che l’intera popolazione partecipa alla celebrazione di tutte le festività, indipendentemente dall’appartenenza religiosa. <<Ognuno fa la sua strada. Dio è uno solo, solo lui può giudicare>>.

Nel suo Paese d’origine, i contrasti tre credenti di fedi diverse semplicemente non esistono. Tanto che l’intera popolazione partecipa alla celebrazione di tutte le festività, indipendentemente dall’appartenenza religiosa.

Parlando di Islam, Zeina tiene da subito a marcare una distanza netta tra la comunità senegalese e qualunque posizione fondamentalista e violenta. <<Se dico che sono musulmano, devo rispettare quello che dice il Corano: non mangiare il maiale, non bere alcool, rispettare tutte le 5 preghiere del giorno, fare il Ramadan…Ma se non faccio tutto questo, dire che sono musulmano è falso! Se sei un musulmano corretto e fai quello che ha detto il Corano, siamo con te. Ma se scegli un’altra strada, anche se sei Senegalese, non ti riconosciamo>>. Da qui il ruolo centrale dell’educazione. A partire delle mura domestiche e passando anche per l’associazionismo. Come si propone di fare la sede aretina di Mame Diarra (attiva da più di 5 anni), un’associazione internazionale che si è data la missione di far conoscere l’Islam alle generazioni più giovani nate in Italia. Un’iniziativa a cui Zeina partecipa come tesoriera e in cui crede fermamente, per far capire ai giovani come <<la loro religione non è quello che vedono alla tv o su Internet>>.

 

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Galleria fotografica

di Demostenes Uscamayta Ayvar

Fai click sulla foto per vedere la galleria fotografica >>>
 
Festa senegalese - Sante Serigne Touba - Touba Arezzo

 

  • Format

    Segni Concreti ©
  • Credits

    Interviste: Bianca Sestini, Elena Scortecci
    Riprese video, audio: Alessandro Braga, Demostenes Uscamayta Ayvar
    Fotografia: Demostenes Uscamayta Ayvar
    Montaggio video: Alessandro Braga
    Contenuti Social: Marta Pertici
  • Ringraziamenti

    a Abdou per l’invito e a tutte le persone che ci hanno accolto e aiutato a capire meglio l’evento
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